Luigi Pirandello cita più e più volte nei sui scritti il cammino che va dalla Porta Atenea a Piazza Municipio.
Da:
I VECCHI E I GIOVANI
A Girgenti, tuttp il popolo si accalcava nel vasto piano fuori PORTA DI Ponte, all’entrata della città, in attesa che dalla stazione, giù in Val Sollano, arrivassero con delle vetture di quella corsa
…
I molti sfaccendati della città andavano intanto su e giù, sempre d’un passo, cascanti di noja, con l’automatismo dei dementi, su e giù per la strada maestra, l’unica piana del paese, dal bel nome greco, Via Atenèa, ma angusta come le altre e tortuosa. Via Atenèa, Rupe Atenèa, Empedocle…– nomi: luce di nomi che rendeva più triste la miseria e la bruttezza delle cose e dei luoghi. L’Akragas dei Greci, l’Agrigentum dei Romani, eran finiti nella Kerkent dei Musulmani, e il marchio degli Arabi era rimasto indelebile negli animi e nei costumi della gente.
LA BERRETTA DI PADOVA
se è vera la storia che mi fu raccontata da un vecchio parente, il quale aveva conosciuto il berrettajo che le vendeva, zimbello di tutta Girgenti allora, perché dei tanti anni passati in quel commercio pare non avesse saputo ricavare altro guadagno che il nomignolo di Cirlinciò, che in Sicilia, per chi volesse saperlo, è il nome d’un uccello sciocco. Si chiamava veramente don Marcuccio La Vela, e aveva bottega sulla strada maestra, prima della discesa di San Francesco.
IL VITALIZIO
Non per nulla la gente del paese se lo richiamava con piacere alla memoria lacero e impolverato su per le viucole a sdrucciolo del quartiere di San Michele con la balla della mercanzia sulle spalle e la mezzacanna in una mano, tutto sudato mentre dell’altra si faceva portavoce nel gridare:
– Roba di Fràaancia!
S’era arricchito in poco tempo con l’usura, e ora troneggiava, seduto sotto il lampadino della Madonna, dietro il lungo banco del suo negozio di panneria, ch’era il più grande di tutta la via Atenèa.
…
Abituato a vivere in campagna, entrando nella stretta delle case, si sentiva ogni volta soffocare, anche se attraversava la città per la via maestra, ch’egli non chiamava col suo nome – Via Atenèa – ma a modo di tutti (e chi sa perché) la Piazza Piccola: di piazza non aveva proprio nulla; era una via un po’ più larga e più lunga delle altre, serpeggiante, lastricata, con case signorili e botteghe in fila. Che fracasso facevano su quei lisci lastroni scivolosi gli scarponi imbullettati di Maràbito che andava curvo e cauto, con l’andatura dei contadini, le mani alla schiena e guardando a terra, mentre la nappina della berretta nera a calza gli ciondolava sulla nuca a ogni passo.
Si rimescolava tutto, scorgendo da lontano, a destra, la bottega di panneria dello Scinè con le quattro grandi vetrine sfarzose e la porta in mezzo. Era proprio nel centro della via un poco prima del Largo dei Tribunali, dove la gente s’affollava di più. Spesso don Michelangelo stava seduto davanti la porta, col pancione che pareva un sacco di crusca tra le cosce aperte, e così sbracato che la camicia gli strabuzzava perfino di sotto il panciotto. Fumava e sputava. Vedendo Maràbito che veniva avanti pian piano, gli figgeva gli occhi addosso e pareva se lo volesse succhiar vivo con lo sguardo, come la vipera un ranocchio
…
Nello stesso tempo, don Luzzo l’orefice, ch’era la peggior lingua di tutta la via Atenèa, e il farmacista dirimpetto tenevano su per giù il medesimo discorso, sebbene con minore efficacia di gesti e di frasi e in tono di scherno, a don Michelangelo Scinè.
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
Eh sí, senza dubbio, una piccolezza; vidi però, seguendolo da lontano, che si fermò una prima volta a una vetrina di bottega, e poi una seconda volta, piú là, davanti a un’altra; e piú là ancora e piú a lungo, una terza volta, allo specchio d’uno sporto per osservarsi il mento; e son sicuro che, appena rincasato, sarà corso all’armadio per far con piú agio a quell’altro specchio la nuova conoscenza di sé con quel difetto.
Piazzetta Caratozzolo
I VECCHI E I GIOVANI
In piazza Sant’Anna, ov’erano i tribunali, nel centro della città, s’affollavano i clienti di tutta la provincia, gente tozza e rude, cotta dal sole, gesticolante in mille guise vivacemente espressive: proprietarii di campagne e di zolfare in lite con gli affittuarii o coi magazzinieri di Porto Empedocle, e sensali e affaristi e avvocati e galoppini; s’affollavano storditi i paesani zotici di Grotte o di Favara, di Racalmuto o di Raffadali o di Montaperto, solfaraj e contadini, la maggior parte, dalle facce terrigne e arsicce, dagli occhi lupigni, vestiti dei grevi abiti di festa di panno turchino, con berrette di strana foggia: a cono, di velluto; a calza, di cotone;
o padovane; con cerchietti o catenaccetti d’oro agli orecchi; venuti per testimoniare o per assistere i parenti carcerati. Parlavano tutti con cupi suoni gutturali o con aperte protratte interiezioni. Il lastricato della strada schizzava faville al cupo fracasso dei loro scarponi imbullettati, di cuojo grezzo, erti, massicci e scivolosi
VISTO CHE NON PIOVE…. (Tonache di Montelusa)
Monsignor Partanna avrebbe dovuto farla cessare a ogni costo. Tanto più ch’era notorio a tutti che quei fratelloni della Congregazione, nella frenesia di far denari comunque, arrivavano fino a speculare indegnamente su la Madonna, mettendo anche in pegno alla banca cattolica di San Gaetano gli ori, le gemme e finanche il manto stellato, che la Madonna aveva ricevuto in dono dai fedeli divoti.
Stretto di Santa Lucia
IL VITALIZIO
Gli toccava di là risalire verso lo stretto di Santa Lucia, anch’esso malfamato e quasi sempre deserto, per riuscire a Porta Mazzara, dove imboccava la via del Ràbato.
Piazza Municipio
LE SORPRESE DELLA SCIENZA
Andammo insieme al Municipio, per la seduta del Consiglio Comunale. Era, come la maestra e donna di tutte le case del paese, la più squallida e la più scura:una catapecchia grave in…ma gromme di muffa, si, e tante!
…
La mastra sala, la Sala del Consiglio, rischiarata da altri lumini….naturalmente , erano divenuti tarli
DIFESA DEL MÈOLA (TONACHE DI MONTELUSA)
Io ricordo bene che cori d’approvazione e che applausi e quanta ammirazione, allorché, sfidando i fulmini del Vescovado e l’indignazione e la vendetta dello zio, Marco Mèola, facendosi cattedra d’un tavolino del Caffè Pedoca, si mise per un’ora al giorno a commentare ai Montelusani le opere latine e volgari di Alfonso Maria de’ Liguori, segnatamente i Discorsi sacri e morali per tutte le domeniche dell’anno e Il libro delle Glorie di Maria.